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Reverse marketing: cos'è e perché può essere vincente

7 agosto 2023

| Redazione |
9 minuti per leggere
Rear view of businesswoman looking at business marketing strategy.jpeg

Se ti dicono di non leggere un libro perché maledetto, tu lo leggeresti lo stesso? Molto probabilmente sì, perché scatta un meccanismo nel cervello umano che si chiama reattanza, cioè una tendenza umana che reagisce in modo opposto a quanto richiesto o suggerito. In linea di massima questo è lo stesso principio del reverse marketing, una strategia di mercato che cambia il punto di vista e rompe gli schemi.

Oggi tutti i brand sono impegnati a presentare i loro prodotti o i loro servizi in toni entusiastici, spiegando che i clienti dovrebbero scegliere loro perché sono i migliori. Ma sulla base di cosa sarebbero i migliori? Perché i clienti dovrebbero scegliere proprio loro?

Questo tipo di marketing si sta appiattendo e rischia di risultare anonimo, addirittura fastidioso, agli occhi dei consumatori che vengono bombardati quotidianamente da pubblicità di ogni tipo. Sempre più aziende stanno virando su strategie alternative e innovative, come il reverse marketing, che ribalta completamente l’approccio del brand verso i consumatori finali.

Il reverse marketing prevede che il brand parli male di sé. Potrebbe sembrare un controsenso, ma semplicemente cambia la prospettiva: l’obiettivo finale non è convincere l’utente a comprare, quanto piuttosto generare curiosità in modo non convenzionale affinché sia proprio lui ad avvicinarsi al prodotto, e non viceversa (in maniera similare a quanto avviene nell'inbound marketing).

Il concetto di reverse marketing non è nuovo, infatti fu teorizzato nel 1987 dagli studiosi M. R.Leenders e D.L. Blenkhorn. Oggi sono considerati dei visionari, ma i tempi non erano ancora maturi per una forma di pubblicità così alternativa e per certi versi aggressiva. La pubblicità tradizionale a quel tempo funzionava e non c’era motivo di cambiare rotta, quindi il reverse marketing iniziò a diffondersi solo una decina d’anni dopo, a cavallo tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del 2000.

Questa particolare forma di marketing al contrario punta sempre sulla centralità del cliente, ma rapportandolo con l’ambiente e i fattori esterni che in qualche modo possono influenzare le sue scelte. Nel reverse marketing c’è una stretta interazione tra azienda e consumatore, ma è proprio quest’ultimo a fare il primo passo in modo spontaneo. Nel marketing tradizionale invece è l’azienda che segue il cliente, o meglio lo insegue, per spingerlo a compiere l’azione desiderata.

Dal momento che sono i consumatori finali ad avviare il rapporto con il brand, di conseguenza sono anche più motivati a saperne di più di quel prodotto che acquisteranno con buone probabilità. Nell’acquirente la curiosità viene stimolata in modo decisamente insolita, parlando in modo critico e polemico nei confronti del proprio brand con una comunicazione per certi versi paradossale, in grado però di attirare i consumatori finali.

Ormai tutti sanno cosa sono le tecniche di marketing tradizionali e come metterle in pratica, ma il reverse marketing ha un funzionamento totalmente opposto.

Il reverse marketing punta a presentare prodotti ad un target specifico parlandone in modo negativo, ma con la sola scusa di indicare incentivi e vantaggi. L’obiettivo è avvicinare le persone in modo spontaneo che, attirate da questa forma di comunicazione inversa, sono incuriosite dal prodotto presentato.

Questa strategia, a differenza di quelle tradizionali, non forza all’acquisto il cliente, che non viene trattato come un consumatore finale. Non si tratta di una semplice descrizione di un prodotto da acquistare, cosa che ormai fanno tutti, anche se l’obiettivo finale è lo stesso: vendere.

Ed è qui che scatta la psicologia inversa, un meccanismo che spinge una persona a fare ciò che noi desideriamo, ma non in maniera esplicita. Possiamo riprendere l’esempio fatto ad inizio articolo, cioè quello del libro maledetto. Benché leggerlo sia proibito, vietato o fortemente sconsigliato il cervello umano viene spinto da una forza irresistibile e desidera farlo: questo è il già citato principio di reattanza.

Le persone, spinte da un paradossale meccanismo di autodifesa, sono più attratte da ciò che è vietato, poiché non conoscere un potenziale pericolo fa più paura che conoscerlo, poiché almeno si hanno i mezzi per affrontarlo. Il reverse marketing sfrutta questi meccanismi del cervello per suscitare interesse e curiosità nelle persone.

Il reverse marketing sicuramente si pone come obiettivo finale quello di vendere, anche se perseguendo strade diverse rispetto alle tradizionali strategie. Tuttavia assicura anche una serie di vantaggi che sono i seguenti:

  • Brand identity rafforzata. I brand si fronteggiano sui social con il lancio di numerose campagne di marketing. Il reverse marketing ti consente di differenziarti e quindi gli utenti, durante lo scroll, si fermeranno con più probabilità su un video in cui il brand parla “male” di se stesso poiché rompe le regole, rappresenta una novità da conoscere ed è utile per attirare nuovi contatti e fare lead generation. I contenuti diventano virali e possono raggiungere una platea più ampia di persone, così aumenta anche la visibilità del brand. Una maggiore visibilità non significa solo più traffico e più vendite, ma rafforza anche la stessa brand identity. Il tuo marchio viene percepito come una fonte autorevole nella sua nicchia di mercato, diventando un punto di riferimento;
  • Fidelizzazione del cliente. Il reverse marketing fa percepire in modo diverso il brand agli occhi dei clienti, stanchi di accedere a contenuti che hanno come unico scopo quello di vendere. I tuoi contenuti devono essere di valore, cioè fornire informazioni pertinenti e utili per l’acquirente finale. Si viene così a creare un rapporto solido con il consumatore, che viene fidelizzato, e che trova nel tuo brand un punto di riferimento per risolvere effettivamente il suo problema;
  • Marketing meno aggressivo. Le forme tradizionali di pubblicità sono invasive, disturbano il cliente, e quindi hanno poca presa sul grande pubblico. Il reverse marketing invece è discreto e poco aggressivo, anzi invita il cliente a stare alla larga da quel prodotto o da quel servizio, naturalmente con l’intento di stimolare la sua curiosità. Il brand si stamperà così nella mente del consumatore che, quando dovrà effettuare un acquisto, con ogni probabilità penserà proprio a quel marchio.

Attenzione però perché tra tanti vantaggi possono nascondersi delle insidie. Quando si pianifica una strategia di reverse marketing bisogna studiarla nei minimi dettagli perché come possono arrivare buoni risultati possono arrivarne anche di cattivi. Il cliente potrebbe spaventarsi di fronte alle caratteristiche negative dei prodotti e potrebbe andare ad acquistare altrove pertanto le decisioni su questa tipologia di marketing devono essere ben ponderate.

Altra cosa è quando si pianifica il reverse marketing bisogna creare attorno a questa strategia una struttura di acquisizione del dato degli utenti e studiare tutto un percorso che porti il lead a diventare cliente finale. Per questa ragione solitamente sono molto utili i progetti CRM.

Finora abbiamo analizzato il reverse marketing da un punto di vista teorico, passiamo adesso alla parte pratica elencando alcuni esempi di successo di reverse marketing.

Nel panorama italiano una delle influencer che meglio ha saputo applicare la strategia di reverse marketing è ClioMakeUp, alias Clio Zammatteo, che tempo fa sul suo canale Instagram pubblicò un contenuto dal titolo “I prodotti Cliomakeup di cui mi sono pentita”.

Già il titolo di per sé suscita interesse, ma il contenuto è ancora più efficace. L’influencer finge di parlare male dei suoi prodotti utilizzando una strategia capace di stregare l’utente.

Durante tutto il video Clio sembra parlare in tono critico dei prodotti che ha lanciato, ma sempre in tono polemico elenca poi i loro vantaggi e i loro pregi. “Ogni volta che metto questo prodotto sembra che ho dormito 10 ore, che ho la pelle di una ventenne, e questo non va bene” - questa è una delle frasi che l’influencer dice durante il video, una delle tante ripetute per presentare in modo alternativo le eccellenti caratteristiche dei sui prodotti. L’obiettivo è sempre vendere, ma cambia il modo che risulta anticonvenzionale, ironico e intelligente.

Altri marchi invece hanno utilizzato campagne di reverse marketing partendo da un divieto. Uno dei casi più emblematici è quello di Patagonia, che nel 2011 in occasione del Black Friday lanciò una campagna di reverse marketing offline tramite un’inserzione pubblicata sul New York Time.

Sopra una giacca della Patagonia campeggiava a caratteri cubitali il divieto: “DON’T BUY THIS JACKET”, cioè “NON COMPRARE QUESTA GIACCHETTA”. L’intento del brand era sensibilizzare le persone sulle problematiche dettate da un mercato consumistico, che aveva un impatto negativo sull’ambiente.

Benché la call to action appariva negativa e addirittura invitava a non comprare quella giacca, è stata proprio la comunicazione eco-friendly di Patagonia la carta vincente. Quella campagna infatti ha prodotto un aumento del 30% delle vendite di quella giacca, un altro esempio di come funzioni realmente il principio di reattanza.

Una strategia simile è stata usata da Takis, marchio di patatine e snack piccanti. Il brand era molto forte in Messico e negli Stati Uniti, ma voleva conquistare anche il mercato del Canada dove era totalmente sconosciuto. E così ha deciso di fare irruzione nel mercato canadese con un’efficace strategia di reverse marketing tappezzando le città con manifestanti raffiguranti le tortillas piccanti e con la scritta “Don’t eat Takis”, cioè “Non mangiare Takis”.

Le persone non sapendo cosa fosse Takis si sono incuriosite e così informandosi hanno potuto conoscere le caratteristiche dei gusti forti e piccanti, descritti appunto come troppo forti e troppo piccanti. In più, come ciliegina sulla torta, Takis ha reso la sua pagina Instagram privata per scoraggiare gli utenti dal seguirla. Naturalmente ha ottenuto l’effetto opposto e come risultato il brand dopo 6 mesi dalla campagna pubblicitaria ha registrato un aumento del 244% delle vendite.

Tra le migliori strategie di marketing, soprattutto quelle “fresche” e moderne, rientra sicuramente il reverse marketing. La leva principale è il principio di reattanza: basta “proibire” o “vietare” alle persone di fare qualcosa, per ottenere esattamente l’effetto opposto.

È sempre da ricordare di pensare alla strategia di reverse marketing sempre nell'ottica inbound cercando di mettere in piedi una struttura adatta alla gestione dei lead in entrata, ad esempio con un CRM. A tal proposito può darti una mano il nostro ebook, scaricabile gratuitamente a fine articolo, che ti spiega alcune strategie di marketing inbound adottate dalle aziende per soddisfare i bisogni degli utenti con i loro prodotti.

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